L’appuntamento per lo shooting è tassativo alle 7 del mattino in via Santa Maria, all’angolo con via San Dalmazzo. “Puntuale” è stata l’unica indicazione di Edoardo. La puntualità è un suo pallino, ogni volta che abbiamo un appuntamento è sicuro che, prima di lasciarci, mi ricordi di essere puntuale. Questa mattina la premura è motivata: uno shooting richiede tempo, organizzazione e, soprattutto, puntualità, perché ogni scena ha la sua luce, i suoi spazi e i suoi orari. Inoltre, uno shooting fotografico ha un costo non indifferente, e “andare lunghi” significa, nella pratica, perdere dei soldi. Dire “continuiamo domani” non esiste, in questi casi. Ci si trova al mattino presto, come se si dovesse fare un’escursione in montagna, e si inizia subito coi preparativi.
Quando arrivo al rendez-vous trovo Edoardo, Giulia e la truccatrice, una signora distinta che mi saluta cordialmente. Abbiamo affittato un camper per l’occasione, così da avere tutto il necessario a portata di mano. Non entro per non intralciare, ma da fuori vedo i vari appendiabiti, le scarpe, l’arsenale di trucchi e lozioni della truccatrice. Facciamo colazione nell’attesa del modello e del fotografo, che stanno per raggiungerci. Nel frattempo, vediamo insieme le varie scene che andremo a fare. In tutto sono quindici, sparse per il centro di Torino.
Arriva Filippo, il nostro modello per l’occasione, e poco dopo ci raggiungono Stefano e Sergio, i fotografi. Mentre la truccatrice si mette all’opera, noi iniziamo a ordinare tutto il necessario per la prima scena, che sarà in un giardinetto poco distante che si affaccia su via Cernaia. Dovendomi occupare del backstage, ho con me la mia Canon da battaglia – una EOS 600D con obiettivo da 18 mm – che rispetto ai “cannoni” dei fotografi veri presenti insieme a me sembra quasi un giocattolo.
Quando Filippo è pronto, iniziamo. Fabrizio, che in questa sede ha il ruolo di Art Director, dà le disposizioni per creare la scena. Non avevo mai partecipato a uno shooting, quindi guardo curioso come si muovono. Ogni scatto è il frutto della sinergia tra tutti noi: chi dà indicazioni, chi regge il cerchio per fare luce, chi pulisce la scena prima di scattare. Questo è il processo che sta dietro a ogni manifesto pubblicitario che vediamo affisso per le strade, o in vetrina nei negozi.
Faccio particolare attenzione a Filippo e a come si muove. Ogni scena richiede un’espressione diversa, una diversa postura, e lui si presta tranquillamente senza battere ciglio, con una naturalezza che io mai riuscirei ad avere davanti all’obiettivo. Per ottenere uno scatto “buono”, ho fatto il conto, servono circa dieci scatti. Dieci scatti costano, in termini di tempo, almeno mezz’ora di lavoro. Dico almeno, perché alcune scene ci hanno portato via quasi un’ora. È affascinante notare come ogni immagine debba essere perfetta ma anche viva, non finta. Bisogna fare attenzione al contesto, allo sfondo, alle pieghe del vestito, a come la mano regge la borsa… tanti piccoli dettagli che a me sembrano ininfluenti, ma che all’occhio dell’esperto fanno la differenza, eccome.
Un’altra difficoltà che non avevo messo in conto è il fatto che, essendo questo uno shooting in vista di una campagna invernale, debba essere in linea con il periodo in cui esce. Quando stiamo scattando è il primo di settembre, l’aria è ancora calda e il sole illumina ancora come d’estate, quindi il problema non è secondario. Mi spiegano che ci sono diversi modi per ovviare alla questione, tanto sul set quanto in fase di post-produzione. L’importante è che sullo sfondo non ci sia un ragazzo in bermuda e canotta, chiaro, per il resto è sempre possibile intervenire.
Andiamo avanti per le varie “stazioni” del servizio che stiamo facendo. Qualche foto al parco, alcune in strada mentre Filippo cammina, un paio in bicicletta per le vie del Quadrilatero… Tocchiamo l’apice quando Stefano, per fare uno scatto, prima si appoggia con un piede sulla spalla di Sergio, e poi si sdraia letteralmente in mezzo alla strada per avere “un’inquadratura favorevole”. A me la scena faceva parecchio ridere, ma gli addetti ai lavori mi hanno fatto presente che questo è nulla. Penso che li seguirò in qualche altro shooting, dev’essere parecchio divertente.
Finite le acrobazie della mattinata, ci avviciniamo a un parco per fare pranzo. Ce lo porta Cione, il fratello di Edoardo, con la sua startup Morsy che consegna cibo nelle pause pranzo. Mentre gusto il mio riso venere integrale con gamberetti e avocado (piccolo spot pubblicitario: È BUONISSIMO), Edoardo, Fabrizio e Stefano guardano insieme le foto, mentre le commentano. “Che bella questa”, “Gran taglio!”, “Guarda come racconta, questa foto…”. Insomma, si piacciono parecchio. Do uno sguardo anche io: niente da aggiungere. Noterete come, invece, le mie foto siano penose. C’è un motivo se mi hanno assunto per scrivere e non per fotografare, chevvedevodì.
Finito il lauto pranzetto, si ricomincia. Altro giro, altra corsa. Filippo continua a prestarsi all’obiettivo, ogni tanto cambiando gli abbinamenti, sempre seguito dalla truccatrice in ogni suo movimento. Quando sono le cinque, siamo letteralmente stremati. Non sembra, ma passare dieci ore in piedi, continuando a cambiarsi, spostando vestiti e tenendo sempre in mano la fotocamera sa essere stancante. Filippo, poi, è davvero provato. Quando Giulia, che ha scritto la scaletta, ci comunica che abbiamo finito, un sorriso generale si allarga sulle nostre facce. “Stasera sistemo le foto e domani ve le mando, così mi dite” ci dice Stefano mentre sale in macchina. Sistemiamo tutto il materiale e poi anche noi ce ne torniamo ognuno a casa sua, stanchi ma felici del lavoro fatto.
P.s. alla fine, le foto sono venute davvero belle, mica come quelle del backstage. Che te ne pare?
Il Narratore