«Prima che inizi, vorrei parlarti di me e della mia idea» mi ha detto Edoardo al telefono, dopo avermi comunicato che mi avrebbero assunto in Tela Blu. «Ottimo» gli ho risposto «dimmi pure». «No, non al telefono. Mi farebbe piacere se ci incontrassimo faccia a faccia, ti offro un pranzo in un ristorante di fiducia e parliamo con calma. Sarà anche una bella occasione per conoscerci. Domani sei libero?» «Sì, certo». «Bene, allora ci vediamo domani alle 12.30 davanti alle Cantine Risso, hai presente? Sii puntuale, mi raccomando!».
Questo è stato il primo scambio che io e Edoardo abbiamo avuto dopo i due colloqui conoscitivi di qualche giorno prima. Quando arrivo al luogo dell’appuntamento, lui è già lì che mi aspetta. So che ha la mia età, ma a guardarlo mi sembra comunque più grande. È vestito bene – diciamo che me lo aspettavo da uno che ha una startup di abbigliamento – e mi accoglie sorridente. «Entriamo dentro, ho prenotato» mi dice dopo avermi stretto la mano.
Appena ci sediamo inizia con le solite domande di rito. Come sto, se sono pronto a cominciare, che idea mi sono fatto di loro. Rispondo che sto bene, che sono prontissimo, ma che ancora non mi è troppo chiara la filosofia dell’azienda. Inoltre, aggiungo, non mi è chiaro nemmeno perché abbiano scelto me per questa avventura. Non sono una persona con chissà quale gusto estetico, e poi non so proprio nulla di moda. «Proprio per questo motivo ti abbiamo voluto con noi!» mi dice ridendo. «Non cercavamo un invasato di moda perché a noi, della moda in senso stretto, non ci importa nulla».
«E cosa vi importa?»
«Noi vogliamo comunicare un’idea di stile, certo, ma anche di innovazione. Non abbiamo la pretesa di lanciare una nuova corrente, piuttosto vogliamo cambiare il modo che abbiamo tutti di spendere i nostri soldi».
In che senso? Non stiamo vendendo dei vestiti? «Ecco, è qui che ti volevo» mi risponde tirando fuori un piccolo taccuino. «Volevo parlarti proprio per questo motivo. Devi capire di cosa parliamo quando diciamo “Tela Blu”… Lascia che ti racconti la storia dell’idea, che è la parte più importante. Perché questo marchio è, prima di tutto, un’idea. Non scordarlo mai».
Arriva il cameriere e ordiniamo. Edoardo ordina un piatto semplice e una bottiglia d’acqua liscia, di frigo. Io lo assecondo, pare che abbiamo gli stessi gusti a tavola. Non si può dire lo stesso dell’abbigliamento: lui sa come ci si veste, indossa una bella camicia a righe e dei pantaloni che, l’ho notato subito, gli cadono perfettamente addosso. Io ho una camicia a quadri, di quelle da combattimento, e dei pantaloni che mi vanno anche un filo larghi.
«Io avevo un problema. O meglio, ce l’ho tuttora. Ce l’hai anche tu, e magari non ci pensi mai. Ti spiego: quando compro qualcosa, mi piace sentire quella che io chiamo “libidine dell’acquisto”. Succede quando spendo dei soldi che mi sono guadagnato per qualcosa che mi piace. Può essere un telefono, un computer o un pacco di pasta, è indifferente. Provo questa libidine ogni volta che compro un oggetto che ha una storia, che è di qualità e che vale davvero i soldi che spendo. Per esempio, ho un Mac che mi è costato un tot, ma sono felice di aver speso quei soldi perché è un ottimo prodotto. Se conto quanto ho speso e quanto mi durerà tenendo delle prestazioni elevate, alla fine ho risparmiato rispetto all’acquisto di un laptop da seicento euro che, magari, avrei dovuto sostituire dopo meno di due anni. In più, il Mac ha una storia, un bel design, una filosofia dietro. Tante cose».
«Ecco, nel mondo dell’abbigliamento oggi questo discorso non esiste. Tu compri un vestito in maniera strumentale, nel senso che guardi prima di tutto al prezzo». Annuisco, è vero. «Senza che ti offendi, tu compri in maniera irragionevole: non vuoi davvero comprare roba di bassa qualità, ma non vuoi nemmeno strapagare la qualità che ti fanno pagare i grandi marchi. Ecco da cosa nasce l’idea di Tela Blu, per risolvere questo cortocircuito in cui a perderci è sempre il cliente, in un modo o nell’altro».
Il cameriere ci porta i piatti e iniziamo a mangiare. Edoardo è una persona composta, posata. Mangia lentamente, gustandosi il piatto che ha ordinato. Nello stesso modo in cui si veste, così mangia: non per sfamarsi, ma per godere di ciò che ha appena ordinato. La sua è una filosofia di vita, me ne rendo conto. Mi rendo anche conto che non è così diversa dalla mia, soltanto io non mi sono mai posto certi interrogativi. Nel frattempo, continuiamo a parlare.
Quindi qual è la strategia? Risparmiate sul tessuto?
«Assolutamente no. Per noi prima di tutto c’è la qualità. Ma attenzione: non esiste solo il tessuto. Ci sono anche il design, il servizio al cliente, lo studio che c’è dietro. Noi non vogliamo vendere vestiti, noi vogliamo che le persone che amano vestirsi bene lo possano fare ogni giorno, non solo al matrimonio del cugino. Abbiamo studiato una linea casual adatta tanto all’ufficio quanto al tempo libero usando i migliori tessuti sul mercato. Il nostro payoff, infatti, è “just what you need”, e non è un caso. Noi offriamo esattamente ciò che serve al cliente, al prezzo giusto».
Come fate? Da qualche parte dovrete pur tagliare, se no c’è qualcosa che non torna…
«Tutto torna, non ti preoccupare» mi risponde con un sorriso, come se si aspettasse la mia reazione scettica. «Abbiamo tagliato la distribuzione tradizionale: non ci sono più rappresentanti, distributori, e negozianti. Vendiamo direttamente al cliente tramite e-commerce a circa il 50% in meno rispetto agli altri brand. In più, per noi ciò che è davvero importante è il prodotto, non il marchio. Perciò sui nostri abiti il logo è sempre in secondo piano: vogliamo che al centro di tutto ci sia il vestito e chi lo indossa. Le persone che andremo a vestire non badano al grande nome, ma vogliono sapere di cosa è fatto ciò che si mettono addosso, e vogliono che sia di qualità superiore perché un vestito non è solo un vestito, ma è anche una scelta quotidiana. Non sei d’accordo?».
Lo sono. Nel frattempo, però, sto pensando alla mia camicia comprata da Piazza Italia a 9.90, che penso sia al 90% poliestere. Guardo la sua, e mi accorgo di quanto sia più “giusta” e confortevole. Effettivamente ho buttato i soldi: indosso qualcosa che non mi rappresenta, che non mi fa impazzire come design e stile e che, inoltre, è pure di pessima fattura. E la pelle sotto a tutta questa plastica è la mia.
Mi chiede se voglio un dolce. Rispondo di no, ma un caffè lo prendo volentieri. Ce lo portano al tavolo, lui prende un caffè normale con mezza bustina di zucchero, io corto e amaro. Lo beviamo entrambi. Io d’un fiato, lui invece lo assapora. Lo invidio quasi: si vuole bene e si vede. Fa piacere parlare con persone così, che non ti sbattono in faccia il loro modo d’essere, ma da cui in qualche modo si resta affascinati – e si ha l’impressione che non siano diversi da noi, ma soltanto più consapevoli.
«Remo, la nostra filosofia si basa su poche cose, ma basilari. Siamo attenti ai dettagli, perché sono quelli che ci distinguono dalla massa, in ogni circostanza. Al centro del nostro progetto abbiamo il prodotto, ma non c’è prodotto senza persone. Per questo vogliamo che sposi la nostra causa, che ti senta parte integrante del progetto esattamente come, mi auguro, si potranno sentire i nostri clienti a settembre. Infine, noi crediamo nell’innovazione, anche e soprattutto senza permesso: vogliamo rinnovare il mercato dell’abbigliamento con una formula nuova, ma anche il servizio per il cliente, che finalmente potrà sentirsi protagonista e non parte di un meccanismo di distribuzione che non distingue una persona da un’altra. Infine, vogliamo rinnovare il modo di concepire un prodotto. Proprio come fa Eataly con il cibo, così facciamo noi coi nostri capi. Seguiamo tutta la produzione, dal primo filo fino alla confezione finale, per sapere esattamente cosa stiamo proponendo. Diversamente da Eataly, però, noi non puntiamo solo sulla qualità, ma anche sulla vicinanza al cliente che, con noi, potrà avere finalmente ciò che cerca, ciò di cui ha bisogno, senza dover spendere più del necessario. Quando entri in un rivenditore per prendere la camicia che indossi adesso, non sei un cliente singolo, ma carne da macello. Quando compri un prodotto Tela Blu, tu sei il protagonista di una storia che scriviamo insieme. Ti è chiaro il concetto?»
Chiarissimo. Si alza e va a pagare il conto, lasciandomi da solo col suo taccuino sul tavolo. Quando torna, ho soltanto una domanda prima di salutarlo. «Bellissima idea, mi hai colpito. Solo una cosa: dove hai preso questi vestiti che indossi? Si vede che sono di qualità, adesso sono curioso di sapere dove hai speso i tuoi soldi!».
«Questi?» mi chiede indicando la camicia «Questi sono i prototipi della nostra linea! Ti piacciono?»
Sì, mi piacciono. «Bene, ne sono felice. Allora se è tutto chiaro ci vediamo domattina alle nove per iniziare. Grazie del tuo tempo, Remo». Lo ringrazio a mia volta, lo saluto e mi incammino verso la macchina.
“Tela Blu è un’idea, non solo un marchio. Costruiremo una bella storia assieme ai nostri clienti” mi ripeto nella testa. Mi piace questa filosofia aziendale, non farò fatica a sposare la causa. E poi questa camicia non vale nulla, ho proprio buttato via dieci euro.