La mattina, quando arriviamo in ufficio, abbiamo la tradizione di fare colazione tutti insieme prima di metterci al lavoro. Ci troviamo al piano terra, dove c’è la macchinetta del caffè, e iniziamo la giornata ognuno con ciò che più gradisce. C’è chi si fa un panino con la marmellata, chi si beve un succo fresco di frigo, chi altri un semplice caffè espresso. A ognuno il suo, come si suol dire. Questa mattina, però, è successo un fuori programma. È arrivato Cione in ufficio (Cione è il soprannome di Carlo Alberto, il fratello di Edoardo) con una novità: la Chemex.
Che?
Questa è stata la mia risposta quando ci ha presentato questa nuova diavoleria. Che poi nuova non è, ma non ne avevo mai vista una prima. Ha tirato fuori da un pacco questa grande caffettiera di vetro – più simile a un’ampolla, in realtà – e, tutto fiero, ci fa: «Oggi facciamo colazione come si deve!». Potete immaginare da soli la mia faccia. Edoardo e Giulia, invece, sembravano più che interessati alla cosa.
Prima di iniziare, Cione racconta un po’ della storia della caffettiera Chemex, che poi altro non è se non una caffettiera di design. A lui piace introdurre le novità, da buon startupper qual è. A me queste cose fanno parecchio ridere, nel senso che non ho questa forma mentis: sono abitudinario, restio al cambiamento. Insomma, se vuoi farmi ripensare il modo in cui faccio colazione (che poi è uno scialbo caffè espresso senza zucchero, possibilmente corto), allora devi essere più che convincente. Edoardo e Giulia, invece, sono attratti da tutto ciò che è nuovo, dal “pensiero laterale”. Proprio come Cione.
«Remo, questa è una chicca, credimi. Una volta che la provi, la Chemex non la molli più» mi dice Cione, quando nota il mio sguardo perplesso, fisso su quell’ampolla strana anche se oggettivamente dal bel design. «Inizia a scaldare l’acqua. Per fare il caffè con la Chemex ci va più che per un espresso. è un processo lento». Ecco, lo sapevo. Questo sì che è un pacco. Al piano di sopra sono pieno di cose da fare, pezzi da scrivere, rapporti da compilare, social da seguire, e Cione mi chiede di stare qui ad aspettare che il caffè si faccia quando abbiamo una macchina che in trenta secondi se non meno tira fuori un caffè espresso normalissimo. «Non fare il difficile, su. Prendi questo e riempilo d’acqua» mi dice passandomi una specie di teiera in metallo, prima ancora che possa muovere un’obiezione.
Mi rassegno all’idea di iniziare a lavorare già in ritardo sulla tabella di marcia. Prendo la teiera, la riempio e la scaldo finché non bolle. Nel frattempo Cione e Edoardo hanno già preparato la Chemex e il caffè tostato da versare nel filtro di carta.
«Se è una di quelle schifezze americane, sappiate che passo» dico con tono perentorio. Mi piace fare finta di avere chissà quali gusti, tipo “sommelier” del caffè. In realtà non so nulla, a malapena distinguo una marca da un’altra. «No, non è caffè americano. È molto, ma molto più forte. Anche più dell’espresso che prendi tu. Sentirai la carica che ti dà!». Certo, come no. Adesso il caffè filtrato è più forte dell’espresso. Non ci credo, ma obbedisco. Ormai sono curioso di provare quella che mio padre – che è, come me, uno scettico di natura – avrebbe chiamato acqua sporca.
Inizia la preparazione, versiamo l’acqua bollente nel filtro dove c’è il caffè e… aspettiamo. Tutti e quattro in religioso silenzio guardiamo questa piccola opera d’arte («è persino esposta al MoMa di New York!») gocciolare lentamente sul fondo. Il fatto che sia quasi completamente in vetro è affascinante, in effetti. Più il tempo passa, meno ci faccio caso. Dopo un po’, il caffè è pronto.
«Lo prova per primo Remo, visto che è così scettico. Se non ti piace puoi lasciarlo, tieni». Cione mi passa una tazza di quelle grosse, di quelle in cui, da piccolo, mettevo il latte coi cereali. Guardo l’intruglio con aria diffidente. L’aroma è buono, ma non vuol dire nulla. Appoggio le labbra alla tazza, la inclino e, piano piano, do il primo sorso.
Il paradiso.
«Ma è buonissimo!» dico, prima di dare un altro sorso, questa volta più deciso. Il sapore è quello del caffè, ma più forte rispetto all’espresso a cui sono abituato. Incredibile. Cione, Edoardo e Giulia scoppiano a ridere. «Sei sempre il solito, Remo. Devi imparare a buttarti!» mi dice Giulia, mentre versa il caffè per sé e per gli altri. Edoardo mi spiega che l’aveva già provato e che, sentirò, è molto più forte anche in termini di caffeina. «Lo spero bene! Sono in ritardo con le consegne del mattino, almeno mi darà un po’ di brio…» gli rispondo, senza crederci troppo.
Finita la colazione, ognuno torna alla sua postazione mentre Cione pulisce la Chemex prima di riporla nella sua confezione. «Bisogna prendersi del tempo per fare le cose bene, colazione compresa» mi dice mentre gli passo la mia tazza. «E poi, non è tempo sprecato. è quasi un investimento! Vedrai adesso come lavori…».
Mi siedo alla mia scrivania con ancora il sapore del caffè tostato in bocca. Proprio buono, penso mentre accendo il computer. Guardo l’ora: tra una cosa e l’altra ci abbiamo messo mezz’ora. In pratica sono con l’acqua alla gola. Dopo le prime cartelle da scrivere e mail da inviare, però, sento i primi effetti del caffè. Sono più attento, focalizzato sul lavoro. Le mie dita volano sulla tastiera, ancora più veloci di quanto già non sia di mio. Insomma, nel giro di una mattinata mi sono portato addirittura avanti sulla tabella di marcia.
Dopo pranzo, però, arriva puntuale l’abbiocco.
«Cione, ma dove l’hai comprata quella cemex? Mi servirebbe fare un altro giro…» gli chiedo quando lo incontro di nuovo per l’ufficio. «Si pronuncia kemex! Alla fine ti è piaciuta, eh?» mi fa, ridendo. «Ovviamente l’ho comprata online! Dove, se no?». Torno al pc, accedo ad Amazon – tanto sono in anticipo sul lavoro di oggi – e ne ordino due. Una per me e l’altra per la mia ragazza. Mannaggia a questi startuppers, sono troppo avanti (o forse sono io che sono indietro, non so).